La tristezza è un sentimento. La si è provata spesso con gradazioni diverse, in modo forte o dirompente o come un velo che ci incupisce.
Le situazioni che possono renderci tristi sono le più diverse ed è sicuramente riduttivo citarne alcune, ma ci permette di andare indietro nel passato o di sostare nel presente per poter comprendere ciò che è scritto dopo.
Si è stati tristi per una perdita, per un lutto importante o che non pensavamo che ci avrebbe colpito interiormente; si è stati tristi per la conclusione di una relazione affettiva, per la conclusione di un esperienza, per un trasferimento o per un tramonto; si diventa tristi per cambiamenti imprevisti e difficili, come la perdita di un lavoro, ecc..
Quando proviamo un emozione, come la tristezza, sono importanti tre aspetti.
É di fondamentale importanza l’atteggiamento con cui accogliamo la tristezza. Spesso quando essa dura per lungo tempo, dietro c’è un atteggiamento sbagliato verso nel accoglierla dentro di sé. Più frequentemente c’è l’attesa e la voglia, che quanto si provi, tristezza, vada via in fretta.
Ogni emozione se viene accettata può svolgere maggiormente la sua funzione, mentre bloccarle vuol dire prolungarle.
Una prima funzione è quella della comunicazione. L’emozione ci dice qualcosa.
Una seconda funzione è quella di indurre la persona a fermarsi, per poter intuire e comprendere in modo autentico il perché di quella tristezza: ora, in questo particolare momento della propria vita.
La terza funzione è quella di trasmettere cosa sta succedendo dentro alla persona che la prova.
Facendo un’esemplificazione: possiamo comprendere, fermandoci, che abbiamo vissuto una perdita, ma diventa importate capire cosa abbiamo perso di quella perdita e si scoprirà che dietro c’è una caratteristica specifica di quella perdita che ci appartiene.
Spesso è proprio quella caratteristica specifica, quel quid, che ci fa soffrire.
Dare la possibilità di potersi cicatrizzare. Per poter ripartire con nuova energia
Ci rendiamo conto che una tristezza non è stata elaborata:
Spesso di può avere la tendenza a MASCHERARE la tristezza.
Anche come genitori o educatori si può correre questo rischio, si rischia più di allontanare queste emozioni nei figlio o in chi ci sta vicino. Anche aspetti culturali della nostra società tende ad allontanarci da ciò che si prova in particolare se sono emozioni spiacevoli.
Spesso negli ambienti in cui si vive c’è l’attesa che si è costantemente allegri, adeguati, competenti, efficaci e di buon umore, come se la fragilità e la tristezza non devono essere inclusi nel proprio modo di essere , e spesso di attiva il pettegolezzo l’additare il dito, subito si sussurra all’ altro la difficoltà che un soggetto prova con la tristezza come se va subito detta ed è troppo difficile tenere dentro ciò che ci ha detto una persona triste; questo è un modo per sbarazzarcene, per metterci una certa distanza.
Le fragilità appartengono a tutti e questo non è un luogo comune ma un fatto reale. Poco condiviso ma profondamente vero.
Allora aver accettato le proprie fragilità, averle accettate ed elaborate permette di :
Fare spazio, per non far più male.
Riconnettersi con le proprie risorse, ciò è possibile se si decide di vivere la propria tristezza e non nasconderla.
Riconoscere la tristezza ci permette di chiedere aiuto, a una persona cara, a un familiare a un amico a un parente e anche a uno psicologo. Se manca questo riconoscere l’emozione della tristezza ci si continua a dire che va tutto bene mentre si prova un alone o un velo che opacizza tutto intorno a noi.
In alcune situazioni la tristezza può essere espressa attraverso altre emozioni che la comprono come la rabbia, la chiusura, l’evitamento, per mantenere tutto nell’ ombra e non fare i conti con ciò che si prova.
Certe volte queste modalità creano delle difficoltà relazionali, che stringono e accorciano lo spazio vitale.
Come psicologa a Novara da diversi anni che ascolto e aiuto persone a superare questi momenti particolari di tristezza; quindi la tristezza può essere pensata come un malanno passeggero che va curato, l’importante è non sopprimerne i sintomi, non dare nessuna medicina, non avere delle forzature sul proprio stato d’animo, non è necessario obbligarsi a ridere o a stare in compagnia se non lo si vuole.